Cattivi esempi e false analogie

Anche stavolta facciamo riferimento, per le definizioni, al testo di F. D’Agostini [1]:

L’esempio consiste nel dimostrare una tesi della forma ‘i P sono Q’ citando una serie di casi (cioè appunto esempi) di P che sono Q. L’esemplificazione è una forma non scientifica di induzione aristotelica, e l’errore che la riguarda e simili a quelli del sillogismo induttivo, ossia: carattere limitato della campionatura; categoricità eccessiva delle premesse e della conclusione. Per esempio:

<<Le donne hanno avuto vita difficile in ogni epoca della storia, prima del Novecento: pensate a Ipazia, lapidata dai cristiani, oppure alle presunte streghe bruciate sul rogo.>>

È probabilmente vero che le donne hanno avuto una vita difficile nella storia, ma l’esemplificazione sbagliata, perché l’ambito da cui si estraggono gli esempi è vago e lacunoso.
L’esempio agisce in modo ineccepibile quando si deve dimostrare una conclusione negativa. In questo caso invece di ‘esempio’ si parla di controesempio:

<<Un branco di elefanti alla vista di un aeroplano è stato preso da un folle terrore collettivo, dunque l’isterismo delle masse non è un fenomeno che riguardi solo gli esseri umani.>>

Il primato logico del controesempio (alla base del falsificazionismo di Popper) si basa sul fatto che per dimostrare una tesi del tipo: ‘solo i P sono Q’ occorre un lavoro di conferma enorme: bisogna esaminare tutti i P e tutti i Q. Invece, basta un solo esempio di P che non è Q a dimostrare che la tesi è falsa (e questo vale per qualsiasi tesi universale). La forza del controesempio o dell’exemplum in contrarium era già molto nota all’antichità, e veniva citato il caso canonico: la generalizzazione ‘tutti i ruminanti hanno le corna’ viene distrutta dall’exemplum dei cammelli.
Un solo esempio contrario confuta una tesi generale, ma un solo esempio non conferma nulla. L’errore di esemplificazione coincide con la generalizzazione indebita, nel caso in cui un solo esempio venga usato per trarre conclusioni generali.

L’analogia consiste nel dimostrare ‘i P sono Q’ notando che gli R, che assomigliano ai P, sono anche tutti Q. L’’argomento analogico si discute mostrando l’improprietà del paragone, oppure nello stesso modo in cui si discute l’esempio, ossia presentando un controesempio (un caso di P che assomiglia di fatto a un R, ma non è Q). L’analogia è un procedimento difettoso, anche se molto usato. Un’argomentazione analogica è debole se non è supportata da un’ampia campionatura, da una lunga ricerca, dall’assenza di controesempi.
La violazione dei principi dell’analogia dà luogo a una specifica fallacia, che si chiama analogia impropria oppure falsa analogia . Per esempio:

<<I matrimoni sono come le corse dei cavalli, alcuni cavalli sono perdenti, e altri vincenti, dunque bisogna sapere bene con chi si va a sposarsi, come bisognerebbe conoscere bene i cavalli prima di scommettere.>>

In base a questa falsa analogia si potrebbe sostenere che chi è sposato molte volte è il miglior candidato per valutare la riuscita di un matrimonio, come chi è esperto di corse ippiche è il miglior consigliere per puntare sui cavalli. Ma ben guardare: chi si è sposato molte volte è se mai come qualcuno che puntando sui cavalli ha perso molte volte.
In pratica, tutto questo ci dice che le generalizzazioni funzionano come la verità: è inevitabile usarle, in sede argomentativa, nel senso che quando parlo devo poter generalizzare, e formulare enunciati che abbiamo definito che abbiamo definito ‘extra contestuali’; ma è assolutamente necessario essere consapevoli del fatto che la loro vita è incerta e fragile.

Aggiungo, a quanto sopra esposto, anche un’utile annotazione relativa alla fallacia della ‘falsa analogia’ [2]:

La falsa analogia o analogia debole presenta la seguente forma:

A è come B.
B ha la proprietà P.
Quindi, A ha la proprietà P.
(laddove l’analogia tra A e B è debole.)

Si tratta di una fallacia molto comune, ma “falsa analogia”, il suo nome comune, conduce facilmente a fraintendimenti. Le analogie non sono né vere né false, esse presentano semplicemente diversi gradi, dalle strette somiglianze alle estreme differenze. Due importanti osservazioni:

1) Nessuna analogia è perfetta, vale a dire, vi sono sempre differenze tra i termini dell’analogia. In caso contrario, non parleremmo di analogia ma di identità.

2) Vi è sempre una certa somiglianza tra i due termini, non importa quanto differenti. Ad esempio, Lewis Carroll un giorno pose il seguente indovinello: perché un corvo è come uno scrittoio? (why is a raven like a writing desk?): quando Alice si arrende, il Cappellaio ammette di non conoscere lui stesso la risposta. Carroll ideò l’indovinello con l’intenzione di lasciarlo senza soluzione, ma le richieste di molti lettori lo indussero a cercarla. In seguito vi furono molti altri tentativi (perché entrambi dotati di penne, perché Poe scrisse su entrambi…).

Alcuni argomenti sono basati su analogie troppo deboli per poter sostenere il fine prefissato. Le analogie deboli costituiscono spesso un’alternativa alla mancanza di altre prove o evidenze.

● Note:

[1] ‘La verità avvelenata’, di Franca D’Agostini, Bollati Boringhieri editore, pp. 146 – 148

[2]http://www.fallacielogiche.it/index.php?option=com_content&task=view&id=133&Itemid=142

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